My way

di come l'ho fatto a modo mio

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Quello che sembrava un tranquillo scambio di post

Ho conosciuto Carlotta Givo tramite una diretta a cui ha partecipato per un gruppo facebook di multipotenziali e mi è stata subito simpatica (ditemi quello che vi pare ma per me è importante anche questo, prima dei titoli, delle competenze, ecc.).

Dopo pochi minuti che la guardavo ed ascoltavo parlare mi è venuta voglia di disegnarla. Non sono assolutamente portata per il disegno ritrattistico, ma non volevo farle un ritratto, quanto rendere forma quella sensazione che mi comunicava, quelle due immagini tanto diverse tra loro che mi scorrevano davanti agli occhi: il personaggio di un fumetto e una studiosa con il naso immerso nei libri.

Al di là delle mie visioni, Carlotta è una coach e, quando ci riesco, mi piace seguire gli input che lancia, soprattutto quelli che usano la scrittura come strumento esplorativo.

Penso per immagini, ma scrivere mi è sempre piaciuto, soprattutto se riesco a vedere il “gioco”, l’aspetto ludico più che quello sintattico grammaticale.

Ho contatto Carlotta perché volevo portare un po’ di lei e del suo mondo a chi segue L’ Arte di Fiorire. So che usa anche il viaggio dell’eroe come strumento di lavoro con i suoi clienti, ed io che ne ho seguito le tracce per scrivere la mia guida gratuita Smetti di inseguire i tuoi Sogni. Realizzali!, le ho chiesto se avesse voglia di aiutarmi ad esplorare questo tema.

La sua risposta? Mi ha inviato delle domande a cui rispondere!

Cos’altro potevo aspettarmi da una coach?

Il coaching narrativo

Scherzi a parte, Carlotta è una persona estremamente disponibile e generosa e, per il nuovo anno, ha avuto un’idea che mi piace moltissimo: ogni settimana rilascia sul suo sito un prompt, un esercizio di coaching narrativo per scrivere la tua storia personale. Trovi qui il suo percorso gratuito di coaching narrativo lungo 52 settimane

Ho accettato il suo invito e ho compilato il prompt 2.52 sulla comfort zone, composto da 7 domande per aiutarti a fare luce su tre zone: la zona di comfort, la zona incognita e la call to action.

Io, che spargo parole ovunque sul viaggio di una SognoViaggiatrice, potevo tirarmi indietro di fronte a questi incombenti punti interrogativi che mi guardavano dal foglio appena stampato?

Qual è la mia zona di comfort? E qual è la terra incognita da esplorare? Da cosa riconosco entrambe? Cosa mi piace e cosa no di queste due regioni? E da cosa capisco che l’avventura mi sta chiamando?

Dopo aver stampato il questionario, ho inghiottito il mio gulp e mi sono seduta al tavolo armata delle migliori intenzioni (m’hai provocato? E mo’ te magno … avrebbe detto un mio illustre concittadino).

L’ho fatto a modo mio

Al mio grido: “avanti tutta!” si è succeduto un vuoto piuttosto antipatico, grigiolino, come i rettangoli dentro i quali scrivere le mie risposte.

Ho una lunga storia di idiosincrasia per i rettangoli da compilare, mi sembrano sempre piccoli, stretti, sono come la porta chiusa della stanza in cui sto per mettermi a dormire … deve essere socchiusa, devo rompere quel rettangolo perfetto, vedere uno spiraglio, sapere che c’è.

Trovato il problema, trovo la soluzione!

Prendo un bel foglio a4 a quadretti e mi scrivo qui domande e risposte. Se la coach ne ha bisogno copierò le mie riflessioni negli odiati rettangoli grigi.

Scrivo: “LA ZONA DI COMFORT” e leggo le domande per aiutarmi a trovare le risposte. Cavolo! A me arrivano solo immagini. Una casetta, un muro, una montagna … a volte neanche le vedo tanto bene perché sono veloci, come saette, così lascio che sia la mano a disegnarle, mi affido a lei. 

So che le parole arriveranno attaccate a quei disegni, mi fido e mi affido a questa certezza e non mi delude neanche stavolta: vedo (intravedo), disegno, scrivo … tutto fila liscio! 

A volte penso che le parole possano essere un po’ insidiose, mi danno l’illusoria sensazione che posso nascondermici dentro, ma quando sono le parole attaccate ad un disegno no, so che sono autentiche, che lì dentro ci sono io e solo io posso esserci.

Usando il processo appena descritto ho riempito altri due fogli: uno per la zona incognita ed uno per la call lo action.

Sono sicura che Carlotta saprebbe trasformare questi tre fogli in una mappa da osservare e, in parte, me lo ha mostrato durante la call che abbiamo avuto per parlare di questo post. Ti invito a leggere le sue riflessioni nell’articolo che ha scritto sul nostro incontro e sul mio esercizio.

Posso bucare lo schermo?

Cosa ho scoperto di me che non sapevo già?

Ho scoperto che temo quello che più mi piace: salire su un palco, mostrarmi, essere la prima di una fila e non perché sono la più brava ma perché l’ho costruita io, mi piace e mi fa tremare le gambe sapere che ci sono infiniti modi e mondi dentro di me.

Ho scoperto che vorrei tanto addomesticare quella forza creativa che sento quando disegno, ma solo lei sa farmi piangere di gioia e di entusiasmo.

Ho scoperto che ancora chiedo il permesso di esprimermi come mi è più congeniale (“Carlotta, è lo stesso se ti mando i disegni…se non va bene ti scrivo tutto su un documento word). C’è ancora l’eco di quella bambina a cui è stato insegnato che si parla con le parole, non con i disegnini (“adesso sei grande, non essere ridicola!”)

Ho scoperto che la terra incognita sono io, è dentro di me, non fuori; che i mondi da esplorare mi affascinano, stimolano la mia curiosità ma quando li scopro dentro di me fanno paura.

Ho scoperto che ancora ospito il giudizio, l’idea che le cose vadano fatte come credo che piaccia agli altri, ma anche che il mio dono trova sempre la strada per venire fuori, anche quando devo rispondere al prompt 2.52.

Secondo la coach ho bucato lo schermo, quando ho deciso di fare l’esercizio a modo mio e qui trovi le sue riflessioni.

Mi hanno detto che si fa così e la creatività

Ti consiglio di seguire Carlotta suoi canali social (Facebook  e Instagram) perché è capace di aprire mondi di domande e di possibilità con ogni contenuto che crea e, riflettendo proprio, sulle sue parole ti chiedo (anzi ci chiedo):

A quanta creatività hai rinunciato perché non ti hanno dato o non ti sei data il permesso di farlo a modo tuo?

In fin dei conti essere creativi è creare il “nostro modo” di disegnare, scrivere, dipingere e vedere il mondo.

Saper disegnare (o dipingere) bene è fare un disegno realistico o un disegno essenziale che contenga la tua “essenza” e non quella di qualcun altro?

 

Sarò felice di leggere nei commenti cosa ne pensi e, soprattutto, il racconto di quando hai espresso la creatività a modo tuo

 

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