Il fiore di Bach per chi si lamenta sempre
Dove i Fiori Parlano
Quante volte ti lamenti?
Riconoscere di essere una persona che si lamenta sempre (o spesso) è difficile, ma guardando il mio feed di facebook, nota che ormai è diventato uno sfogatoio.
La lamentela è sempre in agguato e contraddistingue le persone che attribuiscono le cause del loro malessere a tutti tranne che a se stessi.
Una volta si lamentano della società e del governo.
Poi ce l’hanno con qualcuno che non ha detto o fatto quanto si aspettavano da loro.
Per non parlare di tutte le volte che la vita è uno schifo e loro delle povere vittime.
In fin dei conti, siamo tutti dei gran lamentoni perché è più facile lamentarsi che rimboccarsi le maniche e cambiare le cose.
Purtroppo la lamentela è un vero e proprio veleno, sia per chi la pronuncia sia per chi la ascolta.
Il fiore di Bach perfetto per chi si lamenta è Willow.
Oggi voglio raccontartelo in modo diverso, regalandoti uno dei racconti del mio libro Dove i Fiori Parlano – i Fiori di Bach si raccontano.
Buona lettura!
IL PARADISO DEL SIGNOR CESARE
Se il tuo animo si è fatto amaro,
rancore e autocommiserazione
rendono un tuo sorriso raro,
Willow è il Fiore che ti può servire
se una vittima non ti vuoi più sentire.
Il signor Cesare, detto Cesarone dagli amici, per via della sua grossa mole, era stato messo a dura prova dalla vita, come amava dire lui stesso.
Quando metteva su un piatto della bilancia quello che la vita gli aveva dato e su un altro quello che gli aveva tolto, quest’ultimo piatto gli sembrava essere sempre molto più pesante.
― Io sono sempre stato una persona onesta, un grande lavoratore, un buon marito e guarda che ci ho guadagnato? Un pugno di mosche! ― diceva spesso ai condomini della palazzina dove faceva il portiere.
― E come se non bastasse, dopo una vita tanto amara mi ritrovo pure vedevo e senza nessuno che si prenda cura di me! ― rispondeva, quando qualcuno provava ad addolcire le sue parole. Consolare Cesare era un compito difficile che lasciava l’interlocutore con una gran voglia di piantare lì, dove era, la conversazione e lui sempre più risentito e assorto nei suoi pensieri.
― Parla facile questo qui ― pensava, vedendo il consolatore andare via.
― Ha avuto tutto dalla vita: i soldi di famiglia, un lavoro facile e ben remunerato, una mogli che sembra una top model … eh … ma la resa dei conti arriva per tutti. Poi verrò io a chiederti di essere positivo, caro il mio avvocato. ―
Tutto il santo giorno il signor Cesare si rigirava nello stomaco questi pensieri, aggiungendo sempre nuove prove a carico del suo rancore per il mondo e per la vita che lo umiliava, trattandolo così male che lui stesso non riusciva a capire cosa avesse mai fatto per meritarsi un simile destino.
― Se mio padre mi avesse lasciato almeno qualche lira, la mia vita sarebbe stata diversa. ― pensava il portiere spazzando l’androne.
― Se mia moglie si fosse curata un po’ di più, sicuramente, non si sarebbe ammalata lasciandomi solo, che diavolo! ―
― Se mio fratello si fosse degnato di darmi una mano, invece di pensare solo a se stesso, forse adesso avrei potuto stare tutto il giorno al lago a pescare, invece di dovermi spaccare la schiena in questo condominio di cretini! ―
Dio non ne poteva più di ascoltare le lamentele e le rimostranze del signor Cesare. ― Quel che troppo è troppo, anche per me! ― tuonò dall’alto ― non ne posso più di sentire i continui borbottii di quel vulcano spento.
Lo manderò nell’Eden terrestre, almeno lì non avrà nulla di cui lamentarsi e lascerà in pace le mie povere orecchie! ―
Il paradiso terrestre era un luogo dove cresceva ogni ben di Dio e, cosa meravigliosa, i suoi abitanti avevano il privilegio di veder realizzati, istantaneamente, i pensieri e desideri del loro cuore.
Bastava pensare con, gioia, ad una casa bellissima e questa gli si materializzava davanti, una donna mozzafiato e subito ne appariva una, un panorama spettacolare e si veniva trasportati davanti ad un tramonto sul mare … Non c’era limite ai desideri esauditi e alla felicità di quel posto dove, il signor Cesare stava per essere portato.
Come il nostro portiere arrivò all’Eden la prima cosa che pensò, guardandosi intorno fu: ― ma cosa diavolo si sorridono questi qui? Che avranno mai da ridersi? gli farei provare solo un giorno della mia misera esistenza, in quel buco di casa e con quello schifo di lavoro che mi è toccato in sorte e poi vorrei vedere se hanno ancora voglia di essere contenti. ―
Senza saperlo, Cesare aveva appena fatto la sua prima ordinazione all’Eden: misera esistenza, buco di casa e schifo di lavoro!
All’istante tutte le sue richieste si materializzarono, ricreando in paradiso le tristi condizioni di cui si era lamentato da una vita e da cui Dio, nel suo grande amore, gli aveva concesso di evadere.
― Eccolo qui il paradiso! Lo dicevo io! Ti pare che una volta tanto Dio mi mandava qualcosa di buono! ―
Il signor Cesare sembrava quasi contento di vedere confermate le sue teorie di vittima sofferente.
I giorni che seguirono furono una tortura per il povero portiere.
Più andava in giro per questo luogo meraviglioso e più cresceva il suo risentimento per non poter partecipare a tanto ben di Dio, più puntualmente gli venivano recapitate le ordinazioni che faceva tra un borbottio e l’altro.
Gli altri erano belli e di splendido aspetto fisico.
Lui ottenne una crescita a dismisura del suo naso e della sua bruttezza.
Gli altri avevano cibo e leccornie di ogni tipo.
Lui, lamentandosi del contrario, riuscì solo ad ottenere alimenti scadenti e di infima qualità.
Tutti gli abitanti di quel posto benedetto erano felici e consapevoli che i loro pensieri e i loro sentimenti creavano le ordinazioni che venivano realizzate, tutti tranne Cesare!
Dopo una settimana di permanenza, il portiere passava le giornate col broncio, invidiando tutti quelli che gli passavano davanti e continuando a ripetere:
― cosa ho fatto per meritarmi questo? ―
Dio, dall’alto dei cieli, osservava sempre più preoccupato la situazione, senza poter intervenire, perché che tutte le preghiere in cui Cesare lo invocava iniziavano, proseguivano e finivano così:
― Dio, perché non fai qualcosa? Ti sei dimenticato di me! Non alzi neanche un dito per venirmi in aiuto! ―
L’onnipotente non poteva fare nulla contro le sue stesse leggi.
L’ordinazione di Cesare era ‘Dio non alzi neanche un dito per venirmi in aiuto!’ e questo lo metteva nella posizione di non poter agire.
Per fortuna l’avversa sorte, di cui il signor Cesare si andava tanto lamentando, gli venne incontro sulle rive di un fiume, dove se ne stava solo ed escluso dalla felicità di quel mondo a cui non riusciva a prendere parte.
Il salice a cui Cesarone si era pigramente appoggiato, era un messaggero di Dio e fece cadere qualche goccia della sua essenza nella bocca aperta dell’uomo che si era appena addormentato.
― Cesare, Cesare … ― gli disse il Fiore del salice, chiamandolo nel sonno.
― E’ giunto il momento che tu smetta di sentirti la povera vittima della vita.
Dio ti ha dato e ti ha tolto, nella giusta misura, quella che lui e la tua anima hanno insieme concordato. Non hai nulla di cui lamentarti! Sei stato invitato a vivere nella felicità dell’Eden … ―
― Ma quale felicità? ― si affrettò a dire l’uomo.
― Qui sono tutti contenti e soddisfatti tranne che io. Qui i miei desideri non contano e non vengono realizzati.
― Vedi? ― con un sorriso il Fiore cercava di illuminare Cesare.
― Continui a compiangerti e questo non ti porta a nulla.
Qui, come sulla Terra, tu sei l’artefice del tuo destino.
Dio ti ha fatto a sua immagine e somiglianza perché tu potessi creare la vita che il tuo cuore desidera. Ancora non l’hai capito? Sei tu a creare quello che vedi.
Tutto quello che c’è nella tua vita è lo specchio dei tuoi pensieri e delle tue emozioni. Dio non fa altro che darti quello che tu vai dicendo con tanta insistenza. ―
Cesare, per la prima volta in vita sua, vedeva le cose da questo punto di vista.
― Lascia che la fiducia entri nel tuo cuore e il mondo tornerà ad esserti amico! ―
Al suo risveglio l’uomo decise di seguire le parole del Fiore e, cercando di tenere gratitudine nel cuore e nei pensieri, fece le sue ordinazioni.
Quelli che seguirono furono i primi giorni di vera gioia che il portiere in vacanza ebbe modo di vivere. Non si fece mancare nulla, soprattutto il sorriso sulle labbra che, per una vita, erano state piegate all’ingiù.
Un giorno, mentre stava scherzando con un abitante dell’Eden, si rese conto che le loro risate felici echeggiavano nella vallata, unendosi a quelle degli altri abitanti del paradiso e finalmente capì quale era stato il compito affidatogli nella Terra e che lui, neanche lontanamente, aveva voluto eseguire.
Il signor Cesare chiamò Dio in cuor suo, lo ringraziò con profonda gratitudine per quei giorni meravigliosi e pieni passati all’Eden, ma chiese di tornare sulla Terra per adempiere a quello che la sua anima bramava.
Dio lo fece tornare nella sua casa di portierato in una palazzina affollata.
Cesare continuò per molti anni ancora a svolgere il suo lavoro.
La mattina accoglieva tutti con un pensiero allegro, tanto che i condomini finirono con l’adorare quell’uomo che ogni giorno li faceva andare a lavoro col sorriso sulle labbra.
Ogni sabato e domenica, il portiere prendeva il suo naso rosso di plastica, le scarpe di qualche misura in più e rotte sulle punta, la giacca rattoppata sui gomiti e la sua trombetta viola.
Andava nell’ospedale pediatrico dove faceva il volontario, cercando di portare il suo sorriso ai bambini che erano ricoverati in quelle corsie.
Copyright © Claudia Brunetti Tutti i diritti riservati. E’ consentito l’uso e la distribuzione di questo testo in forma gratuita e non commerciale esclusivamente con il consenso scritto da parte dell’autore