Come scoprire i doni segreti della confusione
Oggi voglio raccontarti di come, lo scorso inverno, ho superato un momento di grande confusione. Avevo tanti pensieri, non riuscivo a combinare nulla, iniziavo 100 mila attività senza riuscire a portarne a termine una.
Poi mi sono fatta una domanda: “Se questa confusione fosse un dono, che dono sarebbe?” la risposta è nella lettera che segue.
Cara confusione,
ti scrivo perché ci sono delle cose che voglio tu sappia. Sono diverse settimane ormai che ti sei installata a casa mia!
Parliamoci chiaro: non hai bussato (altrimenti con il cavolo che ti aprivo!), ti sei imbucata senza nessun invito! Come innocuo pulviscolo sei entrata da una finestra che avevo lasciato aperta e lentamente, senza che me ne rendessi conto, ti sei trasformata in una matassa di lanugine, come fa la polvere.
Non ha molta importanza come tu sia entrata, quello che conta è che sei sempre con me e la tua presenza mi ha messa un po’ sotto sopra.
Avevo dei programmi, mia cara confusione, avevo pianificato tutto per benino questa volta, avevo persino comprato un’agenda grande e un calendario settimanale ma tu e la tua presenza ingombrante avete mandato tutto all’aria.
Sai come mi sono accorta della tua presenza? Dai dubbi! Valanghe, montagne di dubbi hanno iniziato a popolare le mie giornate: “che sto facendo?”, “perché lo sto facendo?”, “è giusto?”, “è sbagliato?”, “chi sono?”, tante domande senza risposte, sottili aghi di pino sotto la pelle. La mia mente era talmente sovraccarica di pensieri che sono andata in corto circuito. Si è spenta!
Poi hai portato la neve, un vero e proprio big bang freddo.
Hai coperto di bianco tutti i miei progetti rendendo i confini talmente sbiaditi da non riuscire più a riconoscerli, là dove c’era il rumoroso scoppiettio della voglia di fare ora c’è l’assordante silenzio dell’apatia.
Questo mi ha spaventata molto più del fastidioso ruminare dei dubbi. Preferivo il continuo tic tac delle domande al sentirmi come la bella addormentata nel bosco, bloccata nel sonno e in attesa di un non ben precisato principe azzurro (tanto perché tu lo sappia: ho l’immensa fortuna di aver già trovato il mio amore e non ho nessuna intenzione di tradirlo, neanche con uno di alto lignaggio!).
Ogni tanto mi sarebbe piaciuto vederti in faccia, ma tu sei la confusione e vedere il tuo volto è come cercare i propri piedi immersi nell’acqua fangosa. Si finisce con il confondersi ancora di più.
Quanto mi hai innervosita, cara confusione, lo sa solo chi mi sta accanto! Mi hai anche imposto una sorta di quarantena, di isolamento dal mondo e dalla mia, già ridotta, vita sociale.
Del resto cosa avrei potuto dire?
– Non sto bene! –
– Perché? –
– Non lo so! Sono confusa! –
Come se non bastasse mi hai reso odiose tutte le cose che ho sempre amato fare: scrivere era diventata una tortura, disegnare una noia, leggere un’attività faticosa, ascoltare musica un passatempo inutile.
Cara confusione, ho cercato di combatterti in tutti i modi: io mettevo la sveglia presto e tu me la spegnevi, io pianificavo strategie di recupero del tempo perso e tu me le mandavi all’aria con la soddisfazione di un bambino che spegne le candeline.
Ho gettato la spugna! Ho dovuto farlo perché tu mi ci hai costretta. È stata una resa amara!
– Vuoi che non combini nulla di buono? – ti ho urlato in silenzio un pomeriggio
– Hai vinto! Mollo tutto! –
Non so neanche io cosa intendessi con “mollare tutto”, ero solo stanca di combattere e volevo una tregua.
È stato lì che mi hai sorriso. Di fronte alla mia rabbia da perdente mi hai sorriso come faceva mia nonna quando mi convinceva a smettere di recalcitrare di fronte a un’imposizione di mia madre. Era una sorriso dolce.
Non hai smesso di essere un’ospite indesiderata ma abbiamo iniziato a fare amicizia. Insieme abbiamo ingoiato intere serie di telefilm in pochi giorni, abbiamo dormito fino a tardi (tremendamente tardi!), iniziato e abbandonato dopo poche pagine decine di libri, siamo state alla finestra a guardare il mondo girare velocemente mentre noi ce ne stavamo in pigiama quasi tutto il giorno.
Cara confusione, non so per quanto tempo hai ancora intenzione di trattenerti a casa mia (ancora spero che tu faccia le valigie il prima possibile) ma voglio ringraziarti perché mi hai insegnato un paio di cosette che non volevano proprio entrare nella mia testa dura.
Mi hai insegnato la pazienza verso me stessa. Mi hai fatto capire che non sono una macchina che esegue semplicemente i comandi ma una persona con bisogni e desideri anche contrastanti.
Mi hai insegnato che non sempre chi corre arriva primo, che a volte fermarsi è il modo migliore per arrivare da qualche parte o almeno per capire dove si vuole arrivare.
Mi hai insegnato che l’ispirazione, l’immaginazione e la creatività hanno bisogno di essere nutrite con un sano “fancazzismo” (= dolce far nulla), che le idee si nascondono ovunque, anche in un telefilm per adolescenti.
Mi hai insegnato che dormire, oziare, vagare senza meta non sono una perdita di tempo ma un modo per ritrovarmi.
Mi hai insegnato che nella fretta dell’arrivare ci si stanca e quando ci si stanca si ha bisogno di riposare.
Soprattutto mi hai fatto capire che quella Claudia che tanto temo e che sempre ho cercato di tenere a bada, quella intollerante alle regole e agli orari, quella con una insana propensione alla esagerazione e al lasciarsi andare, quella che ama i folli, gli eccessivi, i pigri, i perdenti e gli indolenti ha molto da dire se solo smettessi di imbavagliarla.
Cara confusione, ci tenevo a ringraziarti e scriverlo ho pensato fosse il modo migliore per farlo.
P.S.
Non dimenticare di mettere in valigia lo spazzolino da denti che hai lasciato nel mio bagno e…per favore, quando te ne vai ricordati di chiudere bene la porta.
Con affetto
Claudia
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